Il mondo dei pendolari è frazionato a seconda del tipo di viaggio che ognuno deve compiere per raggiungere il luogo di lavoro.
Alcuni partono da centri lontani dalle cosidette “grandi direttrici ferroviarie” e quindi auspicano un miglioramento del servizio universale e il mantenimento delle fermate intermedie su treni veloci.
Altri oscillano tra un grande snodo ed un altro chiedendo treni veloci ad orari strategici e, visto il costo degli abbonamenti da business class, almeno la certezza di sedersi in un posto da cui non essere cacciato di volta in volta, come nel gioco della sedia.
Trenitalia divide i pendolari, in modo molto grossolano e assai poco lungimirante, in ricchi e poveri ma la realtà è un’altra. La scelta ricade su alta velocità o regionali, intercity, eurostar soprattutto in base alle fermate e alle coincidenze con fantasmagorici passanti ferroviari. Se un treno ad alta velocità smette di fermarsi in una determinata stazione, allora, dal punto di vista del tempo di percorrenza, può convenire anche un regionale sgangherato che permetta di recuperare tempo nella tremenda metropolitana milanese delle ore di punta.
Trenitalia crede che non convenga economicamente capire il profilo reale dei pendolari e, sottraendo treni, non fa che alimentare l’attrito tra gli apparentemente opposti desideri dei vari gruppi.
Se il servizio presentasse una varietà di treni di diversa tipologia (per quanto riguarda le fermate e i tempi di percorrenza) e ad orari compatibili con quelli lavorativi, tutti ne beneficerebbero, anche Trenitalia.
Se il servizio universale funzionasse bene Moretti potrebbe contare su tanti nuovi clienti, studenti e lavoratori, che oggi preferiscono puntare sulle classiche corriere. Il punto cruciale è capire se in Italia, tolto il diritto all’acqua, ci sia ancora un diritto al movimento e se, allo stato, convenga pretendere servizi da Fs, ampiamente foraggiata con denaro pubblico, o far fronte allo sconquasso delle reti stradali e dei centri urbani pieni di lavoratori che decidano in massa di boicottare il treno.
Insomma
s’egli sia più nobile soffrire nell’animo le frombole e i dardi dell’oltraggiosa Fortuna, o prender armi contro un mare di guai, e contrastandoli por fine ad essi.
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Il problema è che si ignora il fatto che un pendolare ha soprattutto bisogno di un sistema CONNESSO. Non tutti viaggiano da Torino a Milano o da Milano a Roma e si fermano lì. Il nuovo orario ha fortemente danneggiato vari collegamenti diretti gestiti a IC e EScity, e il sistema ferroviario sembra sempre più spartito in due canali (AV e R) che NON comunicano, ma che contemporaneamente viaggiano ciascuno a frequenza ridotta. O li si rende ben comunicanti, e si compensa la scarsa frequenza, o li si potenzia trattandoli come sistemi indipendenti.
Fino a venerdì andavo da Torino a Pavia con gli IC Torino-Bologna e Genova-Milano (cambio a Voghera), ora la prima tratta è stata sostanzialmente sbriciolata in frammenti: a questo punto si può fare Torino-Bologna in AV via Milano, a costi pazzeschi e tempi non particolarmente vantaggiosi rispetto a prima (e questa è già una beffa), ma per tutti quelli a cui servono le fermate intermedie la situazione è drasticamente peggiorata. E non sto parlando di paesini sperduti, sto parlando di capoluoghi provinciali (Asti, Alessandria, Tortona, Voghera, Pavia)